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Joan Barreda interview. A modo mio

il 29/11/2013 in News

È il più giovane tra i pretendenti alla Dakar 2014. Si prepara in modo diverso dagli altri. È approdato alla Honda HRC e ha chiesto subito modifiche alla moto. Ottenendole, perché per Joan Barreda la prossima volta può essere quella buona

Joan Barreda interview. A modo mio
E così incontriamo gli Honda Guys. Da una Casa come Honda ci si aspetta sempre serietà e sobrietà, e invece questi tre ridono e scherzano: Joan Barreda e Paulo Goncalves perché sono latini, Sam Sunderland perché ha 23 anni (è raro trovare rallysti così giovani) e tra un esercizio e l'altro parlano di ragazze, go-kart e diete sbagliate. Siamo in Italia, al Mapei Sport Service di Olgiate Olona, dalle parti di Varese, dove tre dei cinque piloti HRC (Helder Rodrigues e Javier Pizzolito sono presi da altri impegni) si stanno sottoponendo a una lunga serie di test fisici in vista dei mesi cruciali di preparazione alla Dakar 2014.
Nel mirino abbiamo Joan Barreda, che anche quest'anno è uno dei favoriti. Lo era già l'anno scorso, dopo la perentoria affermazione al Faraoni in cui aveva fatto vedere una velocità stratosferica, e i numeri dicono che avrebbe potuto vincere anche la Dakar: è arrivato a 3 ore e 5 minuti da Desprès ma ne ha perse 3 e mezza per un guasto alla pompa iniezione alla quinta tappa. Non c'è nemmeno bisogno di fare i conti. Nei primi mesi del 2013, però, sono cambiate un sacco di cose: a cominciare dalla proprietà di Husqvarna e dai suoi programmi sportivi. Un pezzo pregiato come Joan, però, non è rimasto senza sella a lungo: si è mossa direttamente la HRC, che ha una tremenda fame di riscatto dopo la figura non proprio meravigliosa del 2013 e ha affiancato al team 2012 la struttura Speedbrain (che continuerà a supportare Barreda e Goncalves), passata armi e bagagli sotto le insegne dell'Ala dorata. Tanto per cominciare, Joan ha appena regalato alla Honda la prima vittoria alla Baja Aragon in 16 anni: ma il bello per i Rallysti arriva adesso.
A meno di far confusione tra la Spagna e la Comunità Valenciana (Joan si chiama così e non Juan appunto perché è nato dalle parti di Valencia), il ragazzo di Torreblanca è un tipo solare e sorridente. Forse non è un caso che gli spagnoli dei Rally – come Nani Roma e Marc Coma – sono tutti delle sue parti, catalani o giù di lì. Di Joan, però, si sa ancora relativamente poco.

Joan, dato che XOffRoad non si è mai occupato di te nello specifico, partiamo dall'inizio...
"Bene. Ho cominciato a fare Cross non prestissimo, a 7 anni. A 9 ero già campione di Spagna nella 60, poi sono passato alla 80 e nel '94-'95, a 11 anni, ho cominciato a fare l'Europeo. Nel 1998 sono passato alla 125, sempre nell'Europeo, e nel 2001 ho esordito nel Mondiale con la TM. Nel 2003 sono passato alla KTM e mi sono trasferito in Belgio, poi nel 2004 ho avuto un gravissimo incidente con un altro pilota e mi sono rotto tibia e perone della gamba destra in 5 punti. Il recupero è stato difficilissimo, sono stato fermo quasi due anni e comunque non sono mai riuscito a recuperare al 100% la forma e la motivazione. Così sono passato all'Enduro, con la BMW. L'Enduro non mi piaceva molto, ma nel 2009 ho corso la Baja Spagna e stavo vincendo, solo che ho finito la benzina a pochi chilometri dall'arrivo… però ho capito che i Rally mi piacevano, così ho corso nel 2010 il Marocco e il Faraoni con una KTM privata, poi nel 2011 ho fatto la Dakar con un'Aprilia, nel 2012 e 2013 con Husqvarna e ora con Honda".

Come mai nell'Enduro non ha funzionato e nei Rally sì?
"Con l'Enduro non ho mai avuto feeling, mi mancava l'adrenalina del Cross e forse arrivarci con una moto particolare come la BMW G 450 X non mi ha aiutato. Il Rally, invece, mi è piaciuto subito, e quando una cosa ti piace vuol dire tanto!".

Tu credi che anche nei Rally emergeranno gli ex crossisti come sta succedendo nell'Enduro?
"Beh, è vero che oggi conta di più la velocità. Prima, con la Dakar africana, contava soprattutto non sbagliare. Oggi senza manetta non si vince, è chiaro. Ma non tutti crossisti si trovano bene a 160 km/h, o ai 180 km/h a cui ormai si arriva…".

La navigazione quindi non conta più?
"È meno importante, ma se vuoi spingere e aprire la pista conta. Io studio moltissimo, sono un maniaco della preparazione delle tappe con la cartografia e la visualizzazione. All'inizio mi ha aiutato Nani Roma, ora sono più autonomo. Quest'anno al 2° e all'8° giorno della Dakar un sacco di gente ha preso strade sbagliate, compresi Desprès e Coma: io no, non è un caso. Adesso ho molta più esperienza, più fiducia nei miei mezzi".

Eppure nelle tue prime Dakar sei andato subito fortissimo e nel 2012, praticamente all'esordio visto che nel 2011 ti eri ritirato al secondo giorno, hai vinto una tappa...
"Sì, ma una tappa non è la corsa. Partire dietro e spingere seguendo le tracce è relativamente facile. Ma per arrivare davanti non puoi sempre seguire le tracce: ora posso vincere anche partendo davanti da solo, è tutta un'altra cosa. So interpretare la gara, e interpretare la Dakar è complicato".

Parlando di esperienza, hai cambiato tre moto in quattro anni. Ci hai guadagnato o ci hai perso?
"Difficile dirlo. Ma ho avuto sempre buone moto: l'Aprilia bicilindrica aveva un potenziale incredibile, peccato che sia stata abbandonata. L'Husky il primo anno era così così, ma dopo il Faraoni andava forte: molto leggera e con un gran motore. La Honda che ho provato è nata bene".

Il progetto CRF per il Rally è rivoluzionato. Perche?
"L'anno scorso credo avessero avuto poco tempo per allestire la moto, ma le capacità della HRC sono fuori discussione. La moto 2014 è completamente nuova, più compatta di telaio, più potente di motore, ora bialbero, e più leggera. E, soprattutto, ha un'elettronica davvero incredibile".

Hai partecipato alle scelte tecniche?
"Il nuovo progetto è partito subito dopo la Dakar e, all'epoca, non potevo essere coinvolto dato che non ero ancora un pilota HRC. Appena sono arrivato, però, mi hanno subito ascoltato e infatti ho fatto cambiare le geometrie del telaio e il bilanciamento dei pesi. Adesso la moto è più alta davanti, si adatta meglio al mio stile di guida ma piace di più anche a Paulo (Goncalves, ndr), per esempio".

Non sei preoccupato dall'averla guidata poco in gara?
"Non molto, a dire il vero. Abbiamo un programma di avvicinamento alla Dakar molto intenso, e a metà ottobre abbiamo corso il Rally del Marocco. Comunque, anche a livello di preparazione ho sempre fatto un po' diversamente da Marc e Cyril, che stanno moltissimo in sella. Io faccio molto Cross e lavoro a tavolino sulle tappe. Come ti ho detto prima, le cose sono cambiate alla Dakar".

Quindi in generale ti senti a posto con la preparazione?
"In realtà sono un po' indietro, perché ho avuto prima il problema alla mano (Joan ha avuto un'infiammazione a un tendine ed è stato fermo tre mesi, ndr) e la moto è effettivamente un po' in ritardo. Ma sto già recuperando il feeling, e se riusciamo a tenere fede al programma che ci siamo dati, penso che per la Dakar potrò essere al 100%, o comunque molto vicino".

Chi temi di più? Ma pensi poter di vincere?
"Cyril e Marc hanno sempre un livello molto alto. Desprès legge bene e sbaglia poco, Coma ha una grande velocità. Ma sono in forma anche Helder Rodrigues, Paolo Goncalves e Chaleco Lopez. Per la vittoria... se siamo a posto, abbiamo il potenziale per farlo".

Joan passa al plurale - ed giusto così - perché la Dakar è una gara in cui la squadra e l'organizzazione sono determinanti. Ma alla fine Joan sa bene che in sella si è soli, e la manetta ce la metti tu. E lui è pronto.

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