Non sarà che il lavoro pre-stagionale ti aveva indebolito?
“Pensiamo di sì. Negli ultimi anni il mio programma è sempre stato fatto in funzione del primo GP. Magari fai qualche uscita agli Assoluti di Enduro, ma di base ti prepari per il primo GP mondiale, e quando arrivi da due o tre mesi di fila di preparazione così intensa, hai bisogno di lasciare al tuo corpo un po’ di tempo per recuperare. Quest’anno per via del calendario non ci sono riuscito, dal primo GP sono andato direttamente agli Assoluti e il mio corpo era indebolito e mi sono ammalato”.
Te ne eri accorto già durante il GP di Germania?
“No, lì stavo bene. Ma al terzo round degli Internazionali mi sentivo molto male, tornato a casa ho passato una settimana tra il letto e il divano, distrutto. Quando mi è arrivata la diagnosi ero già al GP di Portogallo e ho sottovalutato la cosa: quando ti dicono che hai la mononucleosi pensi che non sia nulla. Invece in Spagna ho capito che la cosa era seria, ed è stato un brutto momento perché ho realizzato che sarei stato fuori dalla corsa per il titolo. I GP di Grecia e Italia li ho corsi per arrivare in fondo”.
Eppure non hai avuto risultati così disastrosi.
“Già, e sono il primo a sorprendermi. Faccio fatica a spiegare quanto male mi sentissi e quanto bene riuscissi a guidare nonostante tutto. Ovviamente l’obiettivo era il titolo EnduroGP, ma tutto sommato poteva andare peggio”.
Sul podio della EnduroGP siete tre inglesi: dopo Brad e te è arrivato Danny McCanney. Come ti spieghi quest’abbondanza di piloti britannici dopo tanti anni di scarsi risultati?
“Sai, se guardi alla storia del Mondiale vedi che più o meno ogni Paese ha il suo momento. Fino a qualche anno fa la Francia dominava con Meo, Nambotin Aubert, Renet; prima ancora c’era stata la Finlandia di Ahola, Salminen, Aro; prima ancora l’Italia. Penso che in questi ultimi anni la Gran Bretagna stia esprimendo dei ragazzi veloci, correvamo insieme già dalle gare giovanili e ci siamo sempre stimolati a vicenda. Io e Brad ci siamo trovati anche all’Europeo, dove ci siamo fatti notare e tutti e due abbiamo avuto la fortuna di incontrare Jarno Boano. Il resto è storia, come si dice”.
Quindi non dipende dal fatto che prima i piloti inglesi correvano altre gare e non venivano al Mondiale.
“No, non direi. Piuttosto, noi inglesi siamo abituati a molta pioggia, e questo generalmente produce piloti dal buon livello tecnico. Se riesci a cavartela bene nel fango e nella sabbia, più o meno vai bene dappertutto. Quello e la mentalità fanno la differenza, perché sappiamo che in Inghilterra non esistono team professionistici di Enduro, per cui sappiamo che per correre ad alto livello dobbiamo trasferirci lontano da casa”.
Chi pensi sarà il tuo avversario principale quest’anno?
“Penso Brad, del resto è il campione in carica. Punto a fare la mia stagione come sempre, poi se riesco a concluderla senza infortuni e senza ammalarmi sarò contento anche se finisco terzo. Soprattutto non voglio mai più vivere una stagione come quella appena finita”.
Ma pensi che Brad abbia alzato l’asticella quest’anno? O hai fatto solo un passo indietro tu?
“La seconda che hai detto (ride). È sempre difficile parlare dei propri avversari e non voglio sembrare sbruffone, ma al massimo Brad mi ha dato 30 secondi, e se non vinci con un minuto o un minuto e 30 di distacco per me non puoi dire di aver dominato. Quello che è successo è che quando io ho fatto un grande passo indietro, lui era il più vicino degli avversari e ne ha approfittato. Ma aspettiamo l’anno prossimo”.
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