News
Intervista Josè Butron. Il combattente
il 08/10/2013 in News
Il Motocross è la sua vita, il 17 il suo numero di battaglia. È stato uno dei pochi a mettere le ruote davanti a quelle di Jeffrey Herlings

Prima di incontrare Josè Butron per la chiacchierata che sta alla base
del pezzo che leggerete, vagavo nei meandri della mia mente alla ricerca di
un possibile titolo per questa intervista, senza però riuscire a trovare nulla
che mi soddisfacesse in pieno..Ma ecco che, nel bel mezzo della nostra
oretta abbondante di conversazione, è lo stesso Josè, inconsapevolmente,
a fornirmelo. Tra le tante curiosità e domande che gli ho sottoposto,
infatti, gli ho chiesto come si definirebbe. Lui, annaspando alla ricerca del
termine in inglese o italiano che riflettesse esattamente il suo pensiero, si
lascia sfuggire un: "Yo soy un luchador". Sono un combattente. E, ragazzi,
lo è davvero. Leggere per credere.
Comincerò col dirvi che quello che è stato l'uomo chiave della campagna piloti MX2 2013 è nato nella città andalusa di Cadiz che, per chi non lo sapesse, è a poche decine di chilometri (35 per l'esattezza) dallo storico circuito di Jerez de la Frontera, teatro di moltissimi memorabili Gran Premi di MotoGP. In queste zone, l'atmosfera di festa del GP non è relegata solo al circuito: è straripante e contagiosa ovunque. In quei tre giorni, infatti, per chilometri e chilometri sulle strade di maggior affluenza verso la pista, migliaia di persone fanno gruppo festeggiando in strada e accalcandosi sui ponti dei cavalcavia: sgasano a bordo carreggiata, impennano nelle strade di paese e strombazzano a tutta. Una vera e propria festa on the road e, indiscusse protagoniste, sono le moto. Chiaro quindi che Josè, ventiduenne, abbia respirato fin da piccolo questa atmosfera legata alle due ruote. Gli chiedo conferma e lui mi risponde con una scintilla negli occhi.
"Sì, ma purtroppo adesso non si può più fare baldoria come si faceva una volta; ci sono molti più controlli di polizia per la sicurezza sulle strade, cosa che condivido, ma parte di quell'atmosfera di festa che hai descritto, e che hai vissuto anche tu, è andata persa. Mi ricordo che quando ero piccolo andavo con i miei genitori - e poi più tardi con gli amici - a El Puerto de Santa Maria: lì, il sabato sera del GP di Jerez, erano tutti senza casco a impennare per le strade e a fare un gran casino!".
Con il Motocross, invece, come hai cominciato?
"Ah, per me il Motocross è una tradizione di famiglia: mio zio correva, era campione regionale di Enduro e anche mio papà tutte le domeniche andava a fare Enduro con gli amici. Aggiungi che nel Sud della Spagna ci sono molte piste, per cui per me è stato normale, già a quattro anni, volere una moto. Il mio primo 'bolide' è stata una Rieju, poi sono passato a una Kawasaki 60. Ai tempi per me il Cross era solo un hobby: poi a 7 anni ho disputato la mia prima gara. Me lo ricordo benissimo, era una prova di campionato regionale proprio nella mia città, Chiclana. In quella gara sono arrivato settimo, ma poi i risultati sono cominciati ad arrivare e, una volta finita la scuola (a 17 anni), mi sono seduto al tavolo con i miei genitori ed ho espresso loro il mio desiderio: diventare un pilota di Motocross professionista. Per fortuna i miei, pur non avendo molti mezzi a disposizione, hanno capito quanto fosse importante per me e mi hanno sostenuto, concedendomi la possibilità di provare a realizzare il mio sogno".
E la tua prima gara di Mondiale?
"È stata nel 2008 a Faenza, da wild card con la Yamaha del Team Gariboldi. Quell'anno correvo nell'Europeo: avevo vinto la prova di apertura a Talavera de la Reina e, al quarto round, ero primo in classifica. Ma in Portogallo mi sono rotto la spalla in una caduta in partenza e la mia stagione è finita lì. Quell'anno l'Europeo l'ha vinto Valentin Teillet. Nel 2009 ho fatto due mesi di allenamento in California e, a marzo, ho ricevuto la chiamata del Team Beursfoon (Suzuki) per sostituire Jeremy Tarroux, infortunato. E così sono rimasto da Beursfoon per ben due stagioni. Nel 2011 sono passato al Team Silver Action e, nel 2012, ho corso con la squadra Diga Racing, dove avrei dovuto rimanere anche quest'anno. Poi... sapete tutti cosa è successo".
Sì, il team ha chiuso improvvisamente a novembre - cancellando di fatto tutti gli impegni sportivi - e tu ti sei ritrovato senza moto. A proposito di questo, te lo devo proprio chiedere: qualcuno dice che Diga ti abbia rifiutato l'ingaggio perché il tuo manager ha chiesto troppi soldi. E vero?
"Assolutamente no. Io ho firmato il contratto di rinnovo con Diga ad agosto dell'anno scorso. Avevo avuto delle offerte molto buone, sia da Husqvarna sia dal Team Dixon. A me non piace cambiare squadra da una stagione all'altra, per cui ho chiesto a Diga se avessero potuto pareggiare le offerte che avevo avuto. Sai cosa mi hanno risposto? 'In bianco, quanto vuoi!'. E così abbiamo fatto il contratto, con tanto di comunicato stampa ufficiale del rinnovo. È vero che erano parecchi soldi, ma nessuno ha fatto obiezioni e, d'altra parte, il contratto è stato firmato da entrambe le parti in totale accordo".
E quando ti hanno chiamato per dirti che, invece, la squadra si sarebbe ritirata?
"Non mi hanno chiamato! A novembre me ne stavo tranquillo con la mia ragazza, stavo smanettando su qualche sito di Motocross quando ho letto la notizia: 'Diga stop'. Come Diga stop? Ho chiamato il mio manager, cha ha chiamato il Team Manager, ma niente, non mi ha mai risposto. Di fatto mi sono trovato senza moto all'alba dell'inverno. E pensare che fino a ottobre avevo continuato a ricevere offerte da diverse squadre che io - avendo un contratto firmato - avevo rifiutato. Per fortuna ho sempre mantenuto ottimi rapporti con Mirko (Madaschi, Team Manager del Silver Action, ndr): anche quando correvo con altri Team ero sempre sotto la loro tenda, perché lì mi sono sempre sentito come in famiglia. Insieme al mio manager abbiamo chiesto se avesse avuto una moto per me. Il problema è che non c'era budget; a quel punto è intervenuto Wild Wolf, che è mio sponsor personale, e alla fine siamo riusciti a combinare: è stata una mossa perfetta per entrambe le parti perché questa, come sapete, è la mia miglior stagione in carriera".
Già, ti aspettavi un successo di tale portata? Voglio dire, sei terzo in campionato dietro le due KTM ufficiali e sei anche uno degli unici due piloti che sono riusciti a battere Jeffrey Herlings…
"Guarda, considera che l'anno scorso ho fatto un podio con una moto praticamente standard - con la quale, tra l'altro, ho rotto 6 volte - finendo ottavo in campionato. Considerando che Tommy Searle e Jeremy Van Horebeek sono passati in MX1 e che con il Silver Action avrei avuto materiale migliore, diciamo che almeno sulla carta avrei potuto cercare di essere costantemente nella top five. Ora, oltre le aspettative, sono terzo in campionato con un discreto margine su Christophe Charlier. Cosa posso dirti di più? Niente, va tutto bene e sono felice. Ho trovato la moto ideale e nel team ideale".
Infatti sei rimasto lì. Hai ricevuto offerte praticamente da chiunque, alcune anche economicamente molto interessanti. Possiamo sapere chi ti ha cercato?
"Tutti. Davvero tutti. E, come hai detto tu, anche con delle buone offerte. Ma io non sono il tipo che va in un team per i soldi: io mi devo sentirmi bene con le persone con le quali lavoro, devo sentire che sono in un ambiente amichevole e rilassato, dove si lavora seriamente, ma senza ansia da prestazione e senza la corsa al risultato a tutti i costi. Solo in questo tipo di atmosfera riesco a concentrarmi al massimo e dare il meglio. Certo, non posso permettermi di correre gratis. Ma, se la differenza di ingaggio non è troppo grande, io preferisco rimanere dove sono. Meno soldi, ma più tranquillità. D'altra parte io sono spagnolo, lavoro con la passione e con il cuore, come voi italiani. Forse è per questo che mi trovo così bene qui".
Ok, dai, ma se per ipotesi potessi scegliere una moto qualsiasi di un team qualsiasi, ufficiali compresi, cosa sceglieresti?
"La KTM del Silver Action, non ho dubbi. E poi vuoi mettere l'orgoglio di salire sul podio e battere tanti piloti ufficiali su moto factory? Una soddisfazione impagabile!".
Ora parliamo un po' di te, della tua persona: che tipo sei?
"Quando lavoro sono serio, concentrato al massimo. Ma quando finisco sono un tipo che ama divertirsi, ridere, scherzare e creare intorno a me un'atmosfera giocosa. Non si può mica sempre essere seri, no? Nella vita vale tanto anche divertirsi… 'a mi me gusta fare fiesta!'".
Hai fiducia in te stesso?
"Certo, penso che la fiducia in se stessi sia la chiave del successo. Se mi viene a mancare so già che non posso esprimermi al meglio".
Hai dovuto lavorare su te stesso per ottenerla o è una dote naturale?
"Sono nato così".
Quali sono i tuoi punti di forza come pilota? A parte le partenze che, non so come, azzecchi sempre!
"Sì, negli ultimi tre anni ho fatto delle partenze un punto importante del mio stile di guida.?È chiaro che se parti davanti poi le cose sono più facili. Un altro dei miei punti forti è il fisico e il fatto che sono un 'luchador'. Come si dice in italiano 'luchador'?".
Combattente?
"Sì, combattente. Non mi arrendo mai. Non mi accontento di piazzarmi: cerco di ottenere il massimo che la situazione consente. Herlings mi chiama 'El Matador'".
Insisto: qual è il segreto delle tue partenze?
"Non c'è segreto. La gente pensa che sia la moto, ma non è così. È una combinazione alchemica tra istinto e preparazione del cancelletto".
Sei giovane: chi ti aiuta nella gestione della tua carriera? Prima hai nominato il tuo manager…
"Sì, si chiama Paco Rico. È una persona molto importante per me. Devi sapere che non sono ricco di famiglia. Mio padre non può mai venire ai Gran Premi perché deve lavorare per mantenere la famiglia e così è Paco che sta con me, mi aiuta e mi dà di fatto la possibilità di correre. Lui ha sempre pagato le spese per me e se io un giorno, grazie ai risultati, sarò in grado di ripagarlo, bene, altrimenti lui avrà comunque investito i suoi soldi su di me. Se non fosse stato per Paco io non avrei mai potuto correre: ha molta fiducia in me e lo ringrazierò sempre. A parte lui, ho un preparatore fisico e anche Van Den Berk, con il quale ho lavorato ai tempi di Suzuki Beursfoon, mi dà ancora una mano dandomi consigli ai Gran Premi. Lui mi guarda e mi dà suggerimenti sulle traiettorie migliori, su come affrontare una determinata curva, sui punti del tracciato dove posso essere più incisivo e dove posso migliorare".
Il Gran Premio più difficile per te in questa stagione...
"La Francia, Ernèe. Il terreno lì era strano, almeno per me. Per farti un esempio, io non soffro mai di 'arm pump', ma a Erneè invece mi è capitato e, proprio per questo, non mi sono trovato completamente a mio agio, anche se in gara ho fatto segnare il secondo miglior tempo dopo Herlings. Ho pensato che la mossa più intelligente fosse guardare al campionato e limitare i danni. In effetti, ho concluso settimo, che non è proprio il massimo. Ma va bene così".
Josè, ora che sei dove volevi essere, cioè nel paddock Mondiale da pilota professionista, qual è il tuo sogno?
"Beh, diventare campione del mondo (ride, ndr)… ma finchè c'è Jeffrey la vedo dura! Per cui diciamo che mi accontenterei di diventare il miglior pilota di Motocross spagnolo! Devo ancora battere Garcia Vico e Jonathan Barragan. E poi c'è anche Carlos Campano, che è Campione del Mondo della MX3".
E se un giorno, fra molti anni, non dovessi più fare il pilota?
"Cercherei in ogni modo di rimanere nell'ambiente. Io sono nato per il Motocross e il mio motto è Motocross for life! Vedi? Me lo sono anche fatto tatuare sulla schiena".
A questo punto Josè mi mostra orgoglioso il tatuaggio, di dimensioni più che ragguardevoli, che gli occupa buona parte della schiena. Una banda alata in cui è racchiusa l'essenza sportiva di questo "luchador": MX for life, il 17 - suo numero di gara - e la data del suo primo podio, ottenuto in Brasile il 22 Maggio dell'anno scorso.
Comincerò col dirvi che quello che è stato l'uomo chiave della campagna piloti MX2 2013 è nato nella città andalusa di Cadiz che, per chi non lo sapesse, è a poche decine di chilometri (35 per l'esattezza) dallo storico circuito di Jerez de la Frontera, teatro di moltissimi memorabili Gran Premi di MotoGP. In queste zone, l'atmosfera di festa del GP non è relegata solo al circuito: è straripante e contagiosa ovunque. In quei tre giorni, infatti, per chilometri e chilometri sulle strade di maggior affluenza verso la pista, migliaia di persone fanno gruppo festeggiando in strada e accalcandosi sui ponti dei cavalcavia: sgasano a bordo carreggiata, impennano nelle strade di paese e strombazzano a tutta. Una vera e propria festa on the road e, indiscusse protagoniste, sono le moto. Chiaro quindi che Josè, ventiduenne, abbia respirato fin da piccolo questa atmosfera legata alle due ruote. Gli chiedo conferma e lui mi risponde con una scintilla negli occhi.
"Sì, ma purtroppo adesso non si può più fare baldoria come si faceva una volta; ci sono molti più controlli di polizia per la sicurezza sulle strade, cosa che condivido, ma parte di quell'atmosfera di festa che hai descritto, e che hai vissuto anche tu, è andata persa. Mi ricordo che quando ero piccolo andavo con i miei genitori - e poi più tardi con gli amici - a El Puerto de Santa Maria: lì, il sabato sera del GP di Jerez, erano tutti senza casco a impennare per le strade e a fare un gran casino!".
Con il Motocross, invece, come hai cominciato?
"Ah, per me il Motocross è una tradizione di famiglia: mio zio correva, era campione regionale di Enduro e anche mio papà tutte le domeniche andava a fare Enduro con gli amici. Aggiungi che nel Sud della Spagna ci sono molte piste, per cui per me è stato normale, già a quattro anni, volere una moto. Il mio primo 'bolide' è stata una Rieju, poi sono passato a una Kawasaki 60. Ai tempi per me il Cross era solo un hobby: poi a 7 anni ho disputato la mia prima gara. Me lo ricordo benissimo, era una prova di campionato regionale proprio nella mia città, Chiclana. In quella gara sono arrivato settimo, ma poi i risultati sono cominciati ad arrivare e, una volta finita la scuola (a 17 anni), mi sono seduto al tavolo con i miei genitori ed ho espresso loro il mio desiderio: diventare un pilota di Motocross professionista. Per fortuna i miei, pur non avendo molti mezzi a disposizione, hanno capito quanto fosse importante per me e mi hanno sostenuto, concedendomi la possibilità di provare a realizzare il mio sogno".
E la tua prima gara di Mondiale?
"È stata nel 2008 a Faenza, da wild card con la Yamaha del Team Gariboldi. Quell'anno correvo nell'Europeo: avevo vinto la prova di apertura a Talavera de la Reina e, al quarto round, ero primo in classifica. Ma in Portogallo mi sono rotto la spalla in una caduta in partenza e la mia stagione è finita lì. Quell'anno l'Europeo l'ha vinto Valentin Teillet. Nel 2009 ho fatto due mesi di allenamento in California e, a marzo, ho ricevuto la chiamata del Team Beursfoon (Suzuki) per sostituire Jeremy Tarroux, infortunato. E così sono rimasto da Beursfoon per ben due stagioni. Nel 2011 sono passato al Team Silver Action e, nel 2012, ho corso con la squadra Diga Racing, dove avrei dovuto rimanere anche quest'anno. Poi... sapete tutti cosa è successo".
Sì, il team ha chiuso improvvisamente a novembre - cancellando di fatto tutti gli impegni sportivi - e tu ti sei ritrovato senza moto. A proposito di questo, te lo devo proprio chiedere: qualcuno dice che Diga ti abbia rifiutato l'ingaggio perché il tuo manager ha chiesto troppi soldi. E vero?
"Assolutamente no. Io ho firmato il contratto di rinnovo con Diga ad agosto dell'anno scorso. Avevo avuto delle offerte molto buone, sia da Husqvarna sia dal Team Dixon. A me non piace cambiare squadra da una stagione all'altra, per cui ho chiesto a Diga se avessero potuto pareggiare le offerte che avevo avuto. Sai cosa mi hanno risposto? 'In bianco, quanto vuoi!'. E così abbiamo fatto il contratto, con tanto di comunicato stampa ufficiale del rinnovo. È vero che erano parecchi soldi, ma nessuno ha fatto obiezioni e, d'altra parte, il contratto è stato firmato da entrambe le parti in totale accordo".
E quando ti hanno chiamato per dirti che, invece, la squadra si sarebbe ritirata?
"Non mi hanno chiamato! A novembre me ne stavo tranquillo con la mia ragazza, stavo smanettando su qualche sito di Motocross quando ho letto la notizia: 'Diga stop'. Come Diga stop? Ho chiamato il mio manager, cha ha chiamato il Team Manager, ma niente, non mi ha mai risposto. Di fatto mi sono trovato senza moto all'alba dell'inverno. E pensare che fino a ottobre avevo continuato a ricevere offerte da diverse squadre che io - avendo un contratto firmato - avevo rifiutato. Per fortuna ho sempre mantenuto ottimi rapporti con Mirko (Madaschi, Team Manager del Silver Action, ndr): anche quando correvo con altri Team ero sempre sotto la loro tenda, perché lì mi sono sempre sentito come in famiglia. Insieme al mio manager abbiamo chiesto se avesse avuto una moto per me. Il problema è che non c'era budget; a quel punto è intervenuto Wild Wolf, che è mio sponsor personale, e alla fine siamo riusciti a combinare: è stata una mossa perfetta per entrambe le parti perché questa, come sapete, è la mia miglior stagione in carriera".
Già, ti aspettavi un successo di tale portata? Voglio dire, sei terzo in campionato dietro le due KTM ufficiali e sei anche uno degli unici due piloti che sono riusciti a battere Jeffrey Herlings…
"Guarda, considera che l'anno scorso ho fatto un podio con una moto praticamente standard - con la quale, tra l'altro, ho rotto 6 volte - finendo ottavo in campionato. Considerando che Tommy Searle e Jeremy Van Horebeek sono passati in MX1 e che con il Silver Action avrei avuto materiale migliore, diciamo che almeno sulla carta avrei potuto cercare di essere costantemente nella top five. Ora, oltre le aspettative, sono terzo in campionato con un discreto margine su Christophe Charlier. Cosa posso dirti di più? Niente, va tutto bene e sono felice. Ho trovato la moto ideale e nel team ideale".
Infatti sei rimasto lì. Hai ricevuto offerte praticamente da chiunque, alcune anche economicamente molto interessanti. Possiamo sapere chi ti ha cercato?
"Tutti. Davvero tutti. E, come hai detto tu, anche con delle buone offerte. Ma io non sono il tipo che va in un team per i soldi: io mi devo sentirmi bene con le persone con le quali lavoro, devo sentire che sono in un ambiente amichevole e rilassato, dove si lavora seriamente, ma senza ansia da prestazione e senza la corsa al risultato a tutti i costi. Solo in questo tipo di atmosfera riesco a concentrarmi al massimo e dare il meglio. Certo, non posso permettermi di correre gratis. Ma, se la differenza di ingaggio non è troppo grande, io preferisco rimanere dove sono. Meno soldi, ma più tranquillità. D'altra parte io sono spagnolo, lavoro con la passione e con il cuore, come voi italiani. Forse è per questo che mi trovo così bene qui".
Ok, dai, ma se per ipotesi potessi scegliere una moto qualsiasi di un team qualsiasi, ufficiali compresi, cosa sceglieresti?
"La KTM del Silver Action, non ho dubbi. E poi vuoi mettere l'orgoglio di salire sul podio e battere tanti piloti ufficiali su moto factory? Una soddisfazione impagabile!".
Ora parliamo un po' di te, della tua persona: che tipo sei?
"Quando lavoro sono serio, concentrato al massimo. Ma quando finisco sono un tipo che ama divertirsi, ridere, scherzare e creare intorno a me un'atmosfera giocosa. Non si può mica sempre essere seri, no? Nella vita vale tanto anche divertirsi… 'a mi me gusta fare fiesta!'".
Hai fiducia in te stesso?
"Certo, penso che la fiducia in se stessi sia la chiave del successo. Se mi viene a mancare so già che non posso esprimermi al meglio".
Hai dovuto lavorare su te stesso per ottenerla o è una dote naturale?
"Sono nato così".
Quali sono i tuoi punti di forza come pilota? A parte le partenze che, non so come, azzecchi sempre!
"Sì, negli ultimi tre anni ho fatto delle partenze un punto importante del mio stile di guida.?È chiaro che se parti davanti poi le cose sono più facili. Un altro dei miei punti forti è il fisico e il fatto che sono un 'luchador'. Come si dice in italiano 'luchador'?".
Combattente?
"Sì, combattente. Non mi arrendo mai. Non mi accontento di piazzarmi: cerco di ottenere il massimo che la situazione consente. Herlings mi chiama 'El Matador'".
Insisto: qual è il segreto delle tue partenze?
"Non c'è segreto. La gente pensa che sia la moto, ma non è così. È una combinazione alchemica tra istinto e preparazione del cancelletto".
Sei giovane: chi ti aiuta nella gestione della tua carriera? Prima hai nominato il tuo manager…
"Sì, si chiama Paco Rico. È una persona molto importante per me. Devi sapere che non sono ricco di famiglia. Mio padre non può mai venire ai Gran Premi perché deve lavorare per mantenere la famiglia e così è Paco che sta con me, mi aiuta e mi dà di fatto la possibilità di correre. Lui ha sempre pagato le spese per me e se io un giorno, grazie ai risultati, sarò in grado di ripagarlo, bene, altrimenti lui avrà comunque investito i suoi soldi su di me. Se non fosse stato per Paco io non avrei mai potuto correre: ha molta fiducia in me e lo ringrazierò sempre. A parte lui, ho un preparatore fisico e anche Van Den Berk, con il quale ho lavorato ai tempi di Suzuki Beursfoon, mi dà ancora una mano dandomi consigli ai Gran Premi. Lui mi guarda e mi dà suggerimenti sulle traiettorie migliori, su come affrontare una determinata curva, sui punti del tracciato dove posso essere più incisivo e dove posso migliorare".
Il Gran Premio più difficile per te in questa stagione...
"La Francia, Ernèe. Il terreno lì era strano, almeno per me. Per farti un esempio, io non soffro mai di 'arm pump', ma a Erneè invece mi è capitato e, proprio per questo, non mi sono trovato completamente a mio agio, anche se in gara ho fatto segnare il secondo miglior tempo dopo Herlings. Ho pensato che la mossa più intelligente fosse guardare al campionato e limitare i danni. In effetti, ho concluso settimo, che non è proprio il massimo. Ma va bene così".
Josè, ora che sei dove volevi essere, cioè nel paddock Mondiale da pilota professionista, qual è il tuo sogno?
"Beh, diventare campione del mondo (ride, ndr)… ma finchè c'è Jeffrey la vedo dura! Per cui diciamo che mi accontenterei di diventare il miglior pilota di Motocross spagnolo! Devo ancora battere Garcia Vico e Jonathan Barragan. E poi c'è anche Carlos Campano, che è Campione del Mondo della MX3".
E se un giorno, fra molti anni, non dovessi più fare il pilota?
"Cercherei in ogni modo di rimanere nell'ambiente. Io sono nato per il Motocross e il mio motto è Motocross for life! Vedi? Me lo sono anche fatto tatuare sulla schiena".
A questo punto Josè mi mostra orgoglioso il tatuaggio, di dimensioni più che ragguardevoli, che gli occupa buona parte della schiena. Una banda alata in cui è racchiusa l'essenza sportiva di questo "luchador": MX for life, il 17 - suo numero di gara - e la data del suo primo podio, ottenuto in Brasile il 22 Maggio dell'anno scorso.
Per inserire un commento devi essere registrato ed effettuare il login.