Cerca

Seguici con

News

Joan Barreda interview. Inseguendo un sogno: la Dakar!

il 26/04/2018 in News

Il trentaquattrenne pilota nel Team Monster Energy Honda dopo la sfortuna alla Dakar 2018 è tornato in sella, vincendo il Merzouga Rally

Joan Barreda interview. Inseguendo un sogno: la Dakar!
Chiudi

L'ultima cicatrice di Joan Barreda è fatta da una serie di segni irregolari e carnosi sul suo polso sinistro. È il risultato di un intervento chirurgico eseguito a Barcellona qualche settimana dopo il Rally Dakar 2018. Il trentaquattrenne spagnolo, pilota nel Team Monster Energy Honda, ha percorso dieci delle quattordici tappe, 6.000 chilometri circa a tutto gas sulla sua Honda HRC, prima che l'estenuante percorso e il dolore causato dal polso e dai legamenti rotti del ginocchio sinistro lo costringessero a fermarsi.
C'è qualcosa di folle nei piloti di Rally? Si potrebbe dire che i loro concorrenti più vicini siano i ciclisti su strada, che sfidano le leggi della fisica e la cui disciplina ha il suo buon livello di follia. Gli atleti dei rally affrontano spesso superfici e tragitti percorsi da persone, veicoli e animali, sapendo che ogni esitazione non può fermare lo scorrere del tempo. Diversamente dai guerrieri in tuta di pelle che sfruttano ogni centimetro di asfalto, i piloti di Rally si lanciano spesso nell'ignoto ad alta velocità, affidandosi solo a una serie di simboli e di codici del "road book" fissato sul cruscotto, come unica fonte di guida e avvertimento.
Come per i ciclisti su strada, l'esperienza è fondamentale in questa impresa solitaria e pericolosa. Il Rally si estende per centinaia di chilometri in un solo giorno. Fisicità, attenzione, resistenza, navigazione, sfumatura tecnica, sincronizzazione con la motocicletta e valutazione dei rischi: il Rally è una delle prove motociclistiche definitive, dove tutto è un po' sfocato.
Barreda, al suo quinto anno con Honda e pur avendo vinto moltissime tappe alla Dakar, ha sempre perso il premio finale a causa del fisico o della moto. È ancora un pilota ufficiale HRC, uno dei corridori più premiati e, appena tornato in sella alla sua CRF450 si è aggiudicato il Merzouga Rally 2018.
All'interno del paddock HRC al MXGP della Comunità valenciana, Barreda mostra un atteggiamento rilassato e calmo. C'è anche un pizzico di impazienza quando parla della sua forma fisica. "È stato un anno davvero difficile" dice, guardando inavvertitamente la pelle deforme sul suo braccio sinistro. Ex star del Motocross junior che ha trovato la sua vera vocazione nel Rally, Barreda descrive alcune delle traversie nell'arrivare alla gara più dura al mondo. Ascoltare le sue parole, accentuate dai sospiri di rassegnazione, conferma l'impressione che questi piloti hanno un'inclinazione speciale.

"Mi aspettavo di riprendermi dall'infortunio in due mesi, ma due delle quattro ossa del polso che ho rotto non si sono messe a posto bene", spiega. "È stato solo un mese prima della Dakar e sapevo di avere opzioni limitate. Se avessi fatto l'intervento, non avrei corso la Dakar. Quindi ho cambiato terapia, sperando di migliorare in tempo, ma non è stato possibile. Ho deciso di gareggiare in quelle condizioni... difficilissimo! Due ossa non erano guarite e venivo da quattro mesi senza aver fatto prove e senza correre..."

Avendo visto i video e le immagini del clima di tre Paesi in due settimane in Sud America, l'immaginazione comincia a correre. Le traversie di Barreda non sarebbero diminuite.
"Ho vinto la seconda tappa, ma nella terza ho fatto un errore di navigazione e ho perso 27 minuti, la gara si è fatta estremamente dura da allora e ho dovuto correre dei rischi per recuperare il tempo" spiega. "Ho fatto un buon recupero di 15 minuti nella quinta tappa e stavo recuperando ancora più tempo entro la settima, quando mi sono schiantato malamente, colpendo un sasso e prendendo delle buche grandi. Ho rotto alcuni legamenti del ginocchio. È stato molto doloroso e avevo una mobilità ridotta sulla moto. Ci sono state poi altre collisioni, e gli ultimi due giorni sono stati molto difficili. Mi sono scontrato con piccoli sassi o con dossi, non riuscivo a tenere la moto come volevo. Ho provato a continuare fin quando non sono più riuscito ad andare avanti."

Per esasperazione, il #5 ha lasciato la CRF450 al bivacco.
"Ero secondo nella classifica generale... ma era impossibile continuare a gareggiare a quei livelli."

Distrutto, esausto e avvilito, Barreda non solo ha dovuto recuperare, ma anche essere sottoposto a un'operazione chirurgica al suo ritorno in Europa. La Dakar tempra o distrugge un uomo e quest'anno Joan è stato sconfitto dalla gara e dalle circostanze. È finito di nuovo al centro medico e di nuovo lo sport si è manifestato al suo peggio.
"È stata davvero dura" ammette. "C'erano tante aspettative in questa gara da parte di Honda, e volevo davvero continuare per loro. Negli ultimi anni abbiamo lavorato molto e bene. All'inizio la moto era acerba, e ci sono stati alcuni problemi minori che ci hanno impedito di vincere la Dakar in passato, ma il team era preparato e sembrava che tutto fosse pronto quest'anno. Quindi ci sono rimasto male per gli infortuni e per non essere nelle condizioni che volevo. È stato difficile accettare la situazione, ma ho dovuto essere razionale, pensare al prossimo anno e rimettermi in forma. Ho anche dovuto fare affidamento sull'esperienza degli ultimi anni per analizzare dove ero e dove potevo andare."

"La Dakar è una gara difficile e unica. Tutto deve funzionare allo stesso momento: il team, la logistica, la parte meccanica, la strategia... E il pilota deve fare meno errori possibili."

Con i suoi 34 anni, Barreda è abituato a subire duri colpi. Da adolescente, era lanciato verso una brillante carriera nel Motocross, ma i suoi sogni sono parzialmente deragliati nel 2004, quando era una stella in ascesa nel firmamento del Cross. Adesso sorride pensando al ricordo lontano delle sue prodezze e parla della gamba rotta come se fosse un capitolo distante e iniziale di una lunga serie.
"Ero a Bellpuig [ex tappa spagnola del Grand Prix, ndr] nel 2004" spiega pacatamente. "Jeff Dement mi è atterrato addosso fratturandomi la gamba in cinque o sei punti. La gamba era messa male, con una parte dell'osso separata, e ci è voluto molto tempo per guarire: più di un anno... a qual punto, era diventato difficile trovare un team per gareggiare nel Mondiale".

Poi c'è stato uno spiraglio di luce.
"Ho avuto la possibilità di provare la Baja [gara di Rally di Aragona in Spagna]. Avevo provato un po' di Enduro, ma non mi aveva dato nessuna adrenalina. È stato alla Baja che ho visto che la velocità del Rally faceva per me."

L'esperienza del Motocross non è andata sprecata.
"Ripensandoci adesso, capisco che avevo carenze dal lato fisico. Ero molto leggero e mi mancavano forza e stabilità. Da quel periodo ho imparato tanto, il Cross scorre sempre nelle mie vene; ma ho visto dai primi Rally che questo sport era adatto alle mie qualità di pilota e fin dall'inizio ho fatto tutto quello che potevo per migliorarmi come atleta e professionista." 

L'allontanamento dalle competizioni nei circuiti chiusi ha aperto un nuovo mondo per Barreda, sia in senso letterale che concreto. Ha stabilito il suo potenziale nel Rally con la vittoria di una tappa alla sua seconda Dakar. HRC ha investito molti soldi nel suo ritorno alla ribalta del Rally nel 2013 e aveva in mente un solo pilota a condurre l'assalto giapponese contro l'austriaca KTM, che dominava fin dal 2001. Il ruolo di Barreda come sviluppatore e punta si traduceva in una programmazione complicata del nascente Campionato mondiale FIM.

"Il campionato mondiale è grandioso...anche se non ho partecipato negli ultimi due anni perché avevamo un piano per la Dakar e fissare un altro obiettivo avrebbe portato complicazioni" rivela Barreda. "Il team sapeva che spingevo tanto sulla moto e chiedeva il 20% in più rispetto ai test, quindi ci siamo concentrati sulle prove per la Dakar e a sviluppare la moto negli Stati Uniti e in gare specifiche in preparazione alla Dakar."

"Penso che abbiamo fatto un bel passo in avanti negli ultimi anni. La moto è molto affidabile. Adesso stiamo cambiando un po' il programma in seguito agli incidenti recenti e ai chilometri persi in sella" afferma sulla sua imminente partecipazione. "Ci stiamo concentrando sulla gara, cercando di trovare il ritmo."

Un pilota di MotoGP sale in sella alla sua moto da corsa 25 volte in un anno, uno di Motocross raggiunge quel numero in sole sei settimane. Nel Rally, il calendario decisamente più breve degli eventi FIM e degli incontri come Baja Argon e Reno-Vegas significa anche il tempo passato sulla moto è poco. Come la maggior parte di suoi rivali, Barreda deve adottare un approccio alternativo per tenersi in forma.
"Ci sono meno gare, è vero, ma sono chiaramente più lunghe e ognuna è molto diversa, quindi è richiesta una preparazione differente", rivela. "varietà vuol dire che c'è maggiore enfasi alla navigazione oppure alla guida. Può essere molto veloce oppure più lento e tecnico. Credo che il Motocross dia un'ottima base generale, soprattutto nelle prime settimane dopo il recupero da un infortunio, quando devi fare un po' di giri in moto, mettere su dei muscoli e irrobustire la schiena."

"Attività come tornare nel deserto su una moto più grande e passare al Rally sono di grande aiuto", prosegue. "Mi piace usare i due estremi: l'intensità del Motocross e la velocità del Rally. Credo che sia meglio dell'Enduro, che è un mix di entrambi. Il Motocross sviluppa la tua mobilità sulla moto, gareggiare nei Rally ti permette di avvicinarti al lavoro sul campo concentrandoti sulla velocità e sulla pratica del roadbook."

La Dakar del 2018 ha visto alcuni dei nomi principali pagare un caro prezzo. Oltre a Barreda, anche il vincitore del 2017 Sam Sunderland e il leader della classifica generale Adrien Van Beveren non sono riusciti a raggiungere il traguardo di Cordoba. Il compagno di squadra di Barreda, il veterano Paulo Gonçalves, non è neanche riuscito a partire a causa di un incidente nei test che lo ha messo fuori gioco. L'ondata di infortuni, dei quali Barreda è stata una vittima prolifica, è una conseguenza di ciò che lui ritiene sia un'evoluzione del modo in cui i piloti affrontano questo sport pericoloso.

"Credo che il Rally stia cambiando" sostiene Barreda. "Non è come sei-sette anni fa quando ho iniziato. Sembra che il livello salga ogni volta che gareggiamo: i piloti sono ancora più veloci e professionali. Sono cambiati i tempi da quando c'erano quelli che aprivano la gara seguiti dagli altri piloti. La strategia del tira e molla sta sparendo, adesso si spinge sul gas tutto il giorno. Questo significa che i piloti sono sempre più giovani. Adesso è raro trovare un pilota di Dakar con più di trent'anni. Sono più giovani e sanno davvero come aprire il gas e allenarsi tutto l'anno per questo. Il livello non smette di salire. Ma io mi sento in forma e credo di avere ancora tre anni buoni davanti a me. Questo mi aiuta a sentirmi motivato a lavorare il più possibile ogni giorno. E poi vederemo cosa succederà."

L'ebrezza delle corse di Rally può essere ancora più eccitante (con il fattore "avventura" un po' diluito a confronto), ma Joan ama pensare che ci sia ancora un aspetto spirituale. Non si può negare la valenza epica di questi eventi complicati, organizzati e tenuti in paesaggi mozzafiato in luoghi minuscoli del mondo, spesso incontaminati. Sembra che l'opportunità di assorbire e respirare questi ambienti sia un fattore dello sport che ogni concorrente gusta e che aggiunge grandiosità e spettacolarità a questa affascinante scena.

"Ho sempre amato viaggiare, vedere e imparare da altre culture e Paesi" afferma con entusiasmo Barreda. "Si vedono cose meravigliose in posti come la Bolivia, l'Argentina, il Cile, la Cina e in territori che sono normalmente difficili da raggiungere. È una delle cose che mi piace del Rally. Ricordo che uno dei miei primi Rally è stato in Egitto. Ero nella scia di Marc Coma sulle dune - è sempre più semplice prendere un altro pilota come punto di riferimento - e ricordo di essermi girato da un lato e la vista dell'orizzonte mi ha fatto venire la pelle d'oca. Non lo dimenticherò mai. È il tipo di sensazione che il Rally può darti. Ha davvero un impatto su di te e la porti sempre con te."

Barreda ha scolpito il suo nome nella storia del Rally con almeno venti vittorie di tappa della Dakar e altri successi internazionali. I chilometri di sette anni ai vertici dello sport hanno segnato il suo corpo provato, ma lo spagnolo deve ancora mettere mano sul premio più importante, la Dakar. La convinzione nei confronti della sua professione e la dedizione nel continuare a ingoiare rischi e dolore è ammirevole, anche se a volte difficile da comprendere. Poche persone comprendono cosa si prova a essere in testa alla Dakar e raggiungere velocità folli mentre si attraversano terreni insondabili per un giorno intero senza perdersi: forse è l'inappagabile sete del Rally e il motivo per cui Barreda continuerà a bere da questa fonte per ancora qualche tempo.

Per inserire un commento devi essere registrato ed effettuare il login.