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Dakar Rally: come funziona la macchina organizzativa

Monster Energy Media - Dakar Rally Media il 09/01/2020 in News
Dakar Rally: come funziona la macchina organizzativa
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Il rally più famoso, duro e complesso del mondo richiede uno sforzo organizzativo immenso in termini di uomini e mezzi. Ne parliamo con David Castera, da quest'anno responsabile dell'evento

Anche se la Dakar è ormai un evento globale, avere un passaporto francese fa un certo pedigree se vuoi prendere il posto che fu del suo inventore, Thierry Sabine. Ma se parliamo di pedigree, pochi possono vantarne uno come quello di David Castera. Quarantanove anni, già endurista e dakariano di livello, Castera era già stato direttore sportivo dell’evento negli anni della Dakar sudamericana, prima che a coprire questo ruolo venisse chiamato lo spagnolo Marc Coma, uno con cinque vittorie alla Dakar all’attivo. Castera ha allora continuato a frequentare la Dakar scoprendone un altro versante, come navigatore delle sfide su quattro ruote di due supervincenti della Dakar in moto: l’altro cinque volte campione Cyril Despres e Stéphane Peterhansel, meglio conosciuto come “Mister Dakar” (sei vittorie in moto e sette in auto).

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Il nuovo corso

L’arrivo di Castera ha coinciso con il nuovo corso del Rally, che dopo trenta edizioni su suolo africano e undici su suolo sudamericano, è passata quest’anno in Arabia Saudita. Un nuovo capitolo anche per la vita di David che nel 2008, quando il Dakar Rally spostò la sua base in Argentina, dovette trasferire la sua famiglia a Buenos Aires. A quel tempo il francese si occupava, come direttore sportivo, della progettazione del percorso e della gestione della logistica. Ora invece Castera è alla guida del leggendario rally nel momento in cui questo apre il suo terzo capitolo, alla scoperta di un nuovo Paese e di un nuovo continente.

Come responsabile della Amaury Sport Organisation (ASO), la società che si occupa dell’organizzazione dell'evento, ci ha raccontato gli enormi sforzi organizzativi richiesti dalla gara di quest'anno.

“È partito tutto lo scorso aprile. In otto mesi, abbiamo dovuto ricostruire in Arabia Saudita tutta la macchina organizzativa, che in Sudamerica era ormai collaudata e funzionava senza problemi. Abbiamo dovuto studiare il nuovo Paese, in termini di territorio, ma anche di leggi e regolamenti. Qui ad esempio autobus e camion possono viaggiare solo di notte, quindi abbiamo dovuto ridisegnare l'intera logistica”.

In totale, l'organizzazione ha spostato 80 auto, 50 camion, 10 elicotteri, 8 aerei e 15 autobus. La logistica di un'operazione di guerra: tanti mezzi e tanti uomini, gestiti con precisione militare

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La "zona di guerra"

In Sudamerica, per permettere l’installazione di un bivacco stabile tutti i veicoli della logistica ASO erano “duplicati”: metà seguivano le tappe pari e l’altra metà le tappe dispari. Quindi durante la seconda tappa un gruppo smontava il bivacco della tappa uno e si spostava alla tappa tre, mentre l’altra metà si occupava del bivacco della tappa due per poi passare alla quattro. Affrontare un territorio sconosciuto è una sfida non solo per i piloti ma anche per la ASO, che ha dovuto portare a tre le squadre che si occupano dei bivacchi.

“L'Arabia Saudita ha organizzato numerosi eventi d’intrattenimento di alto livello, principalmente negli stadi", spiega Castera. “Ma la Dakar per natura è nomade. Poiché questa è la prima edizione, per stare sul sicuro abbiamo triplicato tutti i veicoli principali, e senza usare quelli che avevamo in Sudamerica, che sono rimasti lì. Abbiamo spedito nuovi veicoli, da Dubai e principalmente da Marsiglia”.

In totale, l'organizzazione ha spostato 80 auto, 50 camion, 10 elicotteri, 8 aerei e 15 autobus. Il servizio medico comprende un ospedale mobile al bivacco e diverse tende sul tragitto, medici e personale paramedico, quattro eliambulanze, otto “tango” - l'auto che va in pista con due medici a bordo - e un medico per ogni “balai” (camion).

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Notti gelide e poche ore di luce

Il responsabile delle procedure di sicurezza della manifestazione è Jean-François Tady. Opera nel “PC Course”, il cuore della macchina organizzativa. “Le relativamente poche ore di luce che abbiamo sono la sfida più grande di quest’anno”, considera. “Il sole sorge verso le 7:30 del mattino e il tramonto è alle 17:30. Ciò significa che avremo molti concorrenti che si troveranno a concludere le speciali di notte. Di conseguenza, la maggior parte dei tango è stata spostata verso la fine delle tappe, in modo da garantire un rapido intervento in caso di emergenza al buio quando gli elicotteri non possono volare.”

Tady spiega la logistica di sicurezza durante il rally: “Ogni veicolo è dotato di due pulsanti: il verde indica un guasto meccanico e il rosso è una richiesta di assistenza medica. L’allarme arriva al PC Course in pista ma anche a Parigi: da lì chiamano immediatamente il pilota per valutare l’emergenza. Se, per qualsiasi motivo, non è possibile chiarire il tipo di richiesta, inviamo immediatamente l’intervento. Il tempo medio di intervento è di 14 minuti, anche durante la notte. È un ottimo standard, considerando che le tappe possono essere anche di 500 km”.

“Le notti fredde sono un’altra sfida, dato che le temperature scendono fino a -3 °C", aggiunge Castera, “ma questo è ciò che succedeva anche in Africa. Poi durante il giorno si può arrivare fino a 30 gradi: devi essere preparato a questi sbalzi. I piloti partono molto presto la mattina quando è ancora buio, e devono essere dotati di attrezzatura specifica e guanti riscaldati”.

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Un'avventura per tutti

Per quanto riguarda lo staff, Castera supervisiona una macchina organizzativa che conta circa 500 delle 2.500-3.000 persone che fanno parte della carovana della Dakar. Sono quasi tutti veterani che provengono principalmente da Francia, Spagna e Italia, ma anche dall’Argentina che negli ultimi anni ha formato molto personale. Al momento il numero di persone arabe è limitato, ma l’idea è quella di formarle come l’A.S.O. ha già fatto in Sudamerica.

“Tutto sommato, penso che questa sarà ricordata come una Dakar molto speciale e un'esperienza di vita”, conclude Castera. “Il deserto ci ricorda l’Africa e cambia costantemente: colore, sabbia, dune. Le persone rimarranno sorprese da ciò che questo Paese può offrire”.

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