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La difficile Dakar del team Monster Energy Yamaha
Coi due top rider KO in poche ore, la prospettiva del team dei tre diapason è cambiata radicalmente. Il team manager Alexandre Kowalski ci ricorda una legge fondamentale di questo rally: "Devi avere la fortuna dalla tua parte"
Alla Dakar puoi perdere tutto in una frazione di secondo. Questa consapevolezza produce umiltà, fortifica i piloti e, ovviamente, alimenta la leggenda di questa gara. Il team Monster Energy Yamaha lo sa fin troppo bene, dopo aver visto le sue ambizioni di vittoria sgretolarsi in poche ore sotto il sole arabo. "Cosa ci manca per vincere?" Chiede il team manager Alexandre Kowalski. “Ci mancano due piloti! Puoi costruire la moto migliore e avere il team più organizzato, ma il rally è, per definizione, pieno di insidie e non puoi prepararti all'ignoto".
In due giorni la squadra francese ha perso i suoi due due top rider, Adrien van Beveren e Xavier de Soultrait. "Non mi piace parlare di sfortuna", dice Kowalski, "ma in una gara di due settimane in cui tutto può succedere, devi avere la buona sorte dalla tua parte".
Tappa 3 Neom – Neom: km 3
Vicino alla vittoria nel 2018, trionfatore al Rally Afriquia Merzouga e terzo al Silk Way Rally, il 're della sabbia' Adrien Van Beveren aveva iniziato la Dakar 2020 fra i favoriti alla vittoria finale. Ma dopo tre soli chilometri della speciale della terza tappa, era lanciato su un lungo rettilineo quando la sua Yamaha WR450F ha colpito una pietra nascosta nella sabbia: fotocopia del problema che lo tolse dai giochi due anni fa. E come due anni fa, dopo aver perso il controllo e finire scaraventato a terra, Van Beveren ha subito una doppia frattura alla clavicola – la stessa rotta nel 2018 – oltre ad essersi incrinato una vertebra. La gara di Van Beveren è finita lì.
Tutte le speranze del team si sono allora rivolte al suo compagno di squadra Xavier De Soultrait, che ha all’attivo ha sei Dakar ed è arrivato settimo assoluto nel 2019, con una vittoria di tappa. De Soultrait ha il potenziale per finire sul podio finale, ma in quello stesso giorno arriva al bivacco dolorante. La sua prima domanda è riguardo le condizioni di Van Beveren, poi De Soultrait spiega alla squadra che si è ferito al polso cadendo su una pietra affilata: ha chiuso la ferita con del nastro adesivo, ma un controllo medico più attento rivela un danno al nervo mediano e porta a sette punti di sutura.
"Non mi piace parlare di sfortuna, ma in una gara di due settimane in cui tutto può succedere, devi avere la buona sorte dalla tua parte".
Nonostante il dolore, de Soultrait si mette in fila per i 672 chilometri della tappa quattro, con una lunga speciale di 453 chilometri. Ma al chilometro 293, il dolore ha la meglio sulla sua determinazione, e il pilota francese è costretto a fermarsi.
Con il ritiro dei suoi due migliori piloti, Yamaha sta affrontando la seconda settimana del rally con le seconde guide: l'argentino Franco Caimi, che affronta la sua quarta Dakar, e il rookie britannico Jamie McCanney, che a 25 anni sta facendo il suo debutto nel rally dopo una brillante carriera nel Mondiale Enduro.
Cosa è successo alla squadra giapponese, che alla Dakar ha costruito una leggenda ma la cui ultima vittoria risale al 1998 con Stéphane Peterhansel? "Dopo di allora il Giappone ha chiuso il team factory, e abbiamo continuato come squadra semi-ufficiale Yamaha France", afferma Kowalski. "Il progetto Dakar non si è mai fermato, e l’ingaggio di Cyril Despres nel 2013 ha dato una spinta importante, portando al coinvolgimento di Yamaha Europe, che dal 2015 in poi è diventato ancora più importante".
La squadra blu rimane comunque piccola, con un budget che è probabilmente un terzo di quello di KTM o di Honda. "Non è coinvolto nessun ingegnere giapponese ", spiega Kowalski. "Tutto lo sviluppo viene effettuato da Yamaha Europe, e siamo in 24 persone a lavorare sulla Dakar." Il team è comunque ben organizzato e la WR450F Rally, che è un'evoluzione della versione 2019, ha fatto un importante passo avanti in termini di velocità massima e affidabilità.
"Questa era una Dakar speciale", conclude Kowalski. “Volevamo far bene, ma restiamo fiduciosi perché conosciamo il livello dei nostri piloti. Yamaha è una famiglia e ci piace crescere giovani talenti dall'interno. Sappiamo che il lavoro di squadra è essenziale. Era fondamentale quando la gara si svolgeva in Africa, e anche oggi è l’elemento chiave, perché in una gara di 12 giorni tutto può succedere, e i compagni di team devono aiutarsi a vicenda. Questo fa la differenza tra vincere o perdere".
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