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Paolo Lucci: la mia Dakar
Il ventinovenne di Castiglion Fiorentino ci racconta le fatiche della gara che lo ha visto chiudere al 15esimo posto assoluto e al secondo nella categoria Rally 2
Sul corpo i segni della fatica, nella voce la consapevolezza di chi sa di aver fatto un’impresa, nella testa il pensiero alla prossima grande avventura. Ventinove anni toscano di Castiglion Fiorentino, Paolo Lucci non è stato solo il migliore tra gli italiani, ma uno dei top rider della DAKAR 2023: 15esimo assoluto nella generale e secondo nella categoria Rally 2, questi i suoi numeri alla grande maratona che ha visto calare il sipario pochi giorni fa
Lo abbiamo fatto tornare a casa dall’Arabia Saudita, riposare e, solo dopo, siamo entrati in contatto con lui per farci raccontare le sensazioni - decantate - provate durante le gare più affascinante e massacrante del mondo.
Bentornato Paolo! I complimenti sono d’obbligo, ma raccontaci un po’: che Dakar è stata questa che ti ha visto protagonista?
“La gara in sé è stata bella, ricca di emozioni, come sono sempre le corse nel deserto, Dakar in primis. In una gara di due settimane ti capita un po’ di tutto, è davvero un saliscendi continuo. Diciamo che è andata bene anche per il risultato, e peccato davvero per la caduta nella prima settimana, che mi ha veramente provato: ho picchiato forte e, a parte il tempo perso, la botta mi ha stordito un po’ per qualche giorno. Comunque, vista l’entità della caduta, sono stato fortunato a non farmi niente e a portare avanti la gara”.
Paolo, scusa, ma dal tono della tua voce non riesco a capire se sei soddisfatto di questo risultato o se, invece, hai qualche rammarico…
“Non lo so. Il primo, Romain Dumontier, è stato bravo, non ha sbagliato niente ed è andato forte. Probabilmente, anche senza la caduta avrei fatto lo stesso risultato. Questa è una gara talmente lunga e imprevedibile che fare pronostici diventa difficile, ma alla fine mi ritengo soddisfatto: sono riuscito a finirla per la prima volta e, oltre al risultato, ho imparato tante cose che mi saranno utili per il futuro”.
Tipo, hai voglia di raccontarle?
“Certo. Sono stato tante volte con i top rider, ho guidato insieme a loro, e in queste situazioni impari tanto. Capisci che non fanno cose impossibili, fanno le stesse cose che fai tu, ma le fanno a una velocità maggiore. Ho capito di essere arrivato a un livello che necessita di uno step mentale per fare un altro passo in avanti; ho capito che devo trovare la concentrazione giusta e fare tante gare in queste condizioni, così da avere la necessaria confidenza con quei terreni”.
Che poi, Paolo, anche la velocità è una cosa che si allena, come il fisico e come la testa.
“Sì, assolutamente, e lo si fa correndo tante gare in quei territori, allenandosi in quelle condizioni. Purtroppo, in Italia non abbiamo niente di paragonabile, e questo è un po’ limitante, però sono contento perché nel mio programma futuro mi concentrerò proprio su queste gare”.
Quale è il motivo che ti ha spinto a voler fare la Dakar?
“Alla fine, io vado in moto per lavoro, faccio il pilota di Rally. Quando ancora non ero mai stato nel deserto, mi hanno sempre ispirato questi scenari: io sono proprio innamorato del deserto, non tanto delle gare! Poi ovviamente c’è anche il lato sportivo, che è ciò che mi fa allenare tutti i giorni e, da questo punto di vista, la Dakar rimane la competizione più importante. In gara passiamo in posti stupendi e incredibili, ma con la concentrazione te li godi poco”.
La Dakar è lunghissima e provante, quanto è difficile trovare un equilibrio?
“È una cosa strana. Io credo che ognuno di noi debba fare i conti con sé stesso e con la propria mente, per cui penso che la cosa più difficile da trovare sia l’equilibrio psicologico, perché tu in quelle due settimane stravolgi la tua vita: ti svegli tra le due e le tre di notte, vai a letto alle otto di sera e vivi delle giornate parecchio stressanti, che poi diventano normalità quando sei lì, ma abituarti a tutto ciò, soprattutto la prima settimana, non è facile. Penso che il lato psicologico sia la parte più difficile da gestire, poi ovviamente devi partire da una base di allenamento buona”.
Quindi entra in crisi prima la testa del fisico?
“Sì. Per esempio: quando sono caduto, alla quinta tappa, sono andato avanti perché sono riuscito a rimanere freddo di testa; subito non riuscivo ad alzarmi da terra, poi ce l’ho fatta, ma avevo la strumentazione completamente distrutta e davanti non c’era più niente; a quel punto l’ho tolta, ma avevo dolori ovunque, non ero lucido, mi girava la testa e c’erano da fare ancora 170 km, che non sono pochi: li ho fatti tutti però, e anche con un buon ritmo. Avevo le lacrime agli occhi, ma in quelle condizioni, se non sei forte di testa ti fermi”.
Tecnicamente che gara è stata questa Dakar 2023?
“Una bella Dakar. La prima settimana è stata dura, perché le speciali erano lunghe e molto varie. Ci aspettavamo poi una seconda settimana più tosta, e invece pur senza essere una passeggiata di salute non è stata come l’avevano descritta: tante dune, quelle sì, in generale tappe corte, quindi meno selettive”.
Quale è stata la tappa più dura?
“Per me la numero 2, perché era tutta di sassi e con velocità medie: sembrava una speciale di enduro da oltre 400 chilometri… e io li ho sofferto”.
Da ciò che racconti la Dakar è una gara dura per il fisico e ancora di più per la testa. E per la moto? Cosa bisogna fare per preservarla, per farla arrivare alla fine della gara?
“La prima cosa per preservare la moto è non cadere, perché quando la moto picchia per terra si rompe. Poi una parte del tuo successo dipende dal team che hai alle spalle: quest’anno onestamente non ho avuto nessun problema, perché ho iniziato a correre con il BAS WORLD KTM RACING TEAM. Sono bravissimi, preparati: ogni giorno mi hanno consegnato la mia KTM 450 RALLY REPLICA in perfette condizioni. Dal punto di vista del mezzo, per fare bene alla DAKAR devi avere una moto abbastanza nuova e una squadra che ogni giorno ti metta tra le mani una moto perfetta. Non devi lasciare niente al caso, perché anche il più piccolo dei problemi nel corso di una tappa da 700 km può diventare un grande problema”.
Paolo, il percorso rispetto ai top rider è assolutamente lo stesso: guardando la classifica generale, tra te e Kevin Benavides che ha vinto c’è un gap di 2 ore e 36 minuti: non è tantissimo!
“No, ma neanche poco. Come dicevo prima, è difficile da capire: i big hanno un passo costante durante tutta la gara, e tu quel passo magari potresti anche tenerlo, ma se non lo fai il motivo è soprattutto mentale. I big hanno grande velocità per l’intera durata della tappa, e poi vanno forte su tutti i terreni: sono piloti completi e con tanta esperienza”.
Visto che sei stato con loro, chi ti ha impressionato?
“Sono stato parecchio con Skyler Howes, l’americano: in una tappa mi ha raggiunto nelle dune, per un po’ sono stato con lui, poi è andato via. Ho visto che guidava in modo davvero sciolto, sempre a proprio agio, tranquillo”.
Paolo, ma alla fine ti sei sorpreso di te stesso o ti aspettavi un risultato così?
“Ci speravo, perché mi sono allenato tanto e ho cercato di andare più volte nel deserto nel 2022. Sto puntando tutto su queste gare, per cui sì, sono contento, ma questa avventura è solo una tappa di un percorso che continuerò a portare avanti: non ho fatto la Dakar per fermarmi, non è un punto di arrivo, ma ogni volta nuovo punto di partenza”.
Quindi l’obiettivo è aumentare la velocità per scalare la classifica?
“Certo. Adesso mi aspetta tutto il Mondiale Rally, che farò soprattutto per prepararmi alla prossima Dakar: nel 2024 mi piacerebbe essere nella top ten”.
Hai un aneddoto simpatico, o drammatico, di questa Dakar 2023 da raccontare?
“Forse uno, che poi è ricorrente, è successo prima della tappa di riposo. Ricordo che una mattina siamo partiti presto, mi ero svegliato alle due di notte. Piovigginava, e in più faceva freddissimo: bisognava fare 500 km! L’inizio tappa era tutto d’asfalto: i primi chilometri in quelle condizioni guidi la moto, sì, ma ti devi ancora svegliare. Poi inizi a sentire freddo… e in quel momento ti svegli definitivamente, però sei al buio su un’autostrada deserta: in quei frangenti dici a te stesso ‘ma perché sono qui, chi me l’ha fatto fare!’. Poi inizi a vedere la prima luce che filtra dal cielo, poi l’alba che illumina il deserto…e lì dai un senso a tutto. In quelle situazioni io mi emoziono tanto. Ma ce n’è un altro che potrei raccontare. Io non sono un tipo ansioso, ma 20 minuti prima dell’inizio della speciale, quando ti danno il road-book, l’ansia mi sale un po’: il momento peggiore è quando, mentre metto il road-book, vedo quelli davanti a me a partire, a fuoco ovviamente: in quel momento non avrei voglia di dare il massimo, ma poi ovviamente salgo in moto e faccio lo stesso”.
Ci sono dei ringraziamenti speciali che vuoi fare per questa Dakar?
“Sì. Iniziamo con KTM Italia, che mi ha dato la moto per potermi allenare. Poi Gabriele Minelli, che è il mio main sponsor e manager e che sarà con me anche per il prossimo anno. E poi le persone a me vicine, oltre ovviamente a tutti gli altri sponsor”.
Ora, conclusa la Dakar, cosa farai in questo 2023?
“Il Mondiale Rally, come accennato prima: questo è l’impegno più importante. E poi farò delle gare di Italiano Motorally. Al Mondiale Rally correrò sempre con il BAS WORLD KTM RACING TEAM, mentre il Motorally con la squadra CF Racing di Fabrizio Carcano”.
Insomma, il prossimo obiettivo di Paolo Lucci è chiaro e definito: si chiama DAKAR 2024. In bocca al lupo!
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